AFRICA/COSTA D’AVORIO – Il Presidente dei Vescovi sulle tragedie dell’emigrazione: i nostri ragazzi muoiono in mare perché non possono godere delle ricchezze del Paese

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Abidjan – “I primi missionari della Società delle Missioni Africane sono arrivati in Costa d’Avorio nel 1895. Siamo quindi una Chiesa relativamente giovane” dice Marcelin Yao Kouadio, Vescovo di Daloa e Presidente della Conferenza Episcopale della Costa d’Avorio all’Agenzia Fides.La Costa d’Avorio è ancora “terra di missione”?Attualmente abbiamo 15 diocesi con 4 provincie ecclesiastiche, e tutta la gerarchia è tutta formata da Vescovi provenienti dal clero diocesano ivoriano. Ma di certo, accogliamo ancora missionari e missionarie provenienti dall’estero appartenenti a diverse congregazioni religiose e istituti di vita apostolica. Quindi siamo ancora una Chiesa “in terra di missione”. La nostra problematica è come passare da questa condizione a una Chiesa missionaria. Cosa può aiutare questo passaggio?Dal mio punto di vista occorre prendere in considerazione la cosiddetta “triplice autonomia”. In primo luogo autonomia del personale coinvolto nel lavoro apostolico, attraverso una ben organizzata pastorale delle vocazioni rivolta alle giovani generazioni. Poi autonomia culturale, attraverso l’inculturazione della fede: come valorizzare la cultura locale, che ha i suoi valori, nella dinamica dell’annuncio del Vangelo. Nella cultura tradizionale del nostro popolo si trovano fattori come la credenza in Dio, l’Essere Supremo; il riconoscimento del male fatto e del peccato; la credenza nella vita dopo la morte; il senso della vita comunitaria. Infine, autonomia finanziaria di tutte le nostre diocesi. A livello nazionale abbiamo costituito un fondo nazionale cattolico che sta avendo un buon successo. Stiamo finendo di costruire una città finanziata a partire da questo fondo . È una città con diverse case da mettere in affitto per generare dei fondi per la Chiesa.Come si svolge il dialogo con le altre comunità di credenti nel suo Paese?In un contesto come quello della Costa d’Avorio bisogna parlare di dialogo interreligioso, perché vi sono ancora seguaci della religione tradizionale africana e vi sono gli islamici. Il dialogo ecumenico invece interessa i rapporti con le Chiese protestanti, In Costa d’Avorio si è creata una sorta di alleanza tra comunità di credenti per la pace, che ha unito soprattutto i nostri fratelli protestanti e musulmani. Al momento, come Conferenza Episcopale, siamo presenti come osservatori. Esiste inoltre il Forum National des Confessions Religieuses nel quale sono presenti tutte le confessioni del Paese, e dove insieme a tutti gli altri capi religiosi promuoviamo iniziative per la pace e la coesione sociale, soprattutto durante il periodo critico delle elezioni.Nel 2023 la prima nazionalità di immigrati giunti sulle coste italiane è della Costa d’Avorio, finora quasi 8.000 persone. Cosa può dirci al riguardo?Il fenomeno dell’emigrazione è una sciagurata realtà nel senso che i Paesi africani, come la Costa d’Avorio, sono immensamente ricchi. Ma di queste ricchezze i loro abitanti non possono goderne. Tanto per dirne una, la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale di cacao. Ma chi lo coltiva in Costa d’Avorio non può permettersi di comprare “il buon cioccolato” reclamizzato da voi in Europa. Siamo il terzo produttore mondiale di caffè, senza contare l’oro, i diamanti ed altro ancora. Lo stesso vale per gli altri Paesi africani. I suoi figli sono costretti ad andare a morire in quel cimitero che è diventato il Mediterraneo. È una tragedia. Si dice che viviamo in un mondo globalizzato. Si dice che il mondo è un grande villaggio, ma la mobilità di cui tanto si parla è spesso a senso unico. Ci sono alcuni che possono andare dappertutto anche senza visto, ma molti altri che non possono muoversi. La Chiesa cerca di sensibilizzare i giovani sui rischi che comporta partire. Durante la l’ultima Quaresima ho tenuto un ritiro con 12mila giovani dove abbiamo affrontato il tema.

ASIA/INDIA – Tra villaggi e ‘stazioni missionarie marine’, il cammino sinodale della Chiesa nelle isole Andamane e Nicobare

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Port Blair – Quella delle isole Andamane e Nicobare, nell’Oceano Indiano, è una comunità cattolica che ha vissuto fin dal suo nascere lo stile sinodale. L’unica diocesi che abbraccia l’intero territorio, Port Blair, conta 500 isole, 40 delle quali abitate, con la presenza di circa 40 mila fedeli cattolici, su una popolazione di quasi 500mila abitanti in maggioranza indù, oltre a gruppi animisti e musulmani. Per superare i rischi dell’isolamento, nella Chiesa locale è ben chiara la vocazione a “camminare insieme” come comunità, e a provvedere, con il contributo di tutti, alle necessità della Chiesa, a partire dal sostentamento al personale e alle strutture ecclesiali. Come spesso avviene nelle diocesi fatte di arcipelaghi, i sacerdoti, religiosi e catechisti affrontano anche lunghe traversate per raggiungere le parrocchie e i villaggi più isolati. “Ma già restando sull’isola di Andaman Meridionale, dove sorge Port Blair, per andare fino al Nord della stessa isola ci si impiega anche due giorni”, spiega all’Agenzia Fides il Vescovo Visuvasam Selvaraj. “Il mezzo più usato è il battello, ma con le varie soste il viaggio può durare anche di più”, dice sorridendo.Nella diocesi di 18 parrocchie sparse sulle isole, operano 51 sacerdoti ma nei numerosi villaggi, tutti di pescatori, vi sono spesso piccole cappelle, oltre 150 in tutto, vere e proprie “stazioni missionarie marine”, attorno a cui si coagulano poche famiglie di battezzati. Le isole sono state evangelizzate dai missionari Gesuiti belgi giunti ai primi del ‘900 dal Nord dell’India: “Prendendo atto della realtà frammentata delle isole, i missionari furono molto attenti, fin dall’inizio, a creare un sistema in cui i laici partecipano pienamente alla vita della Chiesa. Hanno mutuato pratiche e modalità di tipo ‘democratico’ per la gestione delle comunità, proprie dei popoli tribali, venendo soprattutto dalla cintura di Chhota Nagpur, nell’area degli odierni stati Jharkhand e Chhattisgarh. Si può ben dire che, già prima del Concilio Vaticano II, la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa nelle Andamane era molto ampia, anche livello di responsabilità”, nota il Vescovo.Questo tratto specifico, che caratterizza la vita della Chiesa locale, ha reso facile la partecipazione ai lavori del Sinodo indetto dalla Santa Sede, grazie al pieno coinvolgimento della comunità : “Abbiamo avuto consultazioni in tutte e 18 le parrocchie – spiega il Vescovo – e nel 90% dei 159 villaggi della diocesi i fedeli hanno peso parte al dialogo e al confronto. La vita della nostra Chiesa si articola in numerose piccole comunità, sono 552 piccole comunità cristiane, che vivono la fede come dono e responsabilità. Questo si vede anche dalla massiccia partecipazione alla pratica della fede, ad esempio oltre 70% dei battezzati viene regolarmente in chiesa la domenica”.L’approccio sinodale vige normalmente nella vita pastorale, “laddove il Vescovo non è ‘un uomo solo al comando’, ma ascolta sempre la comunità perché nella comunità si manifesta Spirito Santo”, rimarca. Questo è, secondo il Pastore di Port Blair, “il segreto per avere una comunità che cammina con gioia verso il Regno di Dio. Viviamo, per grazia di Dio, uno spirito di unità tra preti, religiosi, organizzazioni laicali. Nella condizione strutturale di Chiesa dispersa tra comunità lontane, c’è un forte intento di comunione, cooperazione, solidarietà. Questo è il dono che possiamo testimoniare nella società. Lo si avverte anche nel sostegno economico dato alla Chiesa. Un’offerta mensile viene decisa dal Popolo di Dio che, responsabilmente, si prende cura delle esigenze di ogni parrocchia. Il Vescovo e i preti conducono uno stile di vita semplice. Cerchiamo di essere vicini alla gente”, nota. E racconta la sua esperienza: “Come Vescovo, ad esempio, in due anni, viaggiando ininterrottamente, ho visitato complessivamente 89 villaggi, anche piccoli, con dieci famiglie cattoliche l’uno. Trascorro 24 ore con loro, visito le famiglie, ascolto, condivido, amministro i Sacramenti. Mangio con loro, celebro la messa. Questa condivisione viene profondamente apprezzata dai fedeli. Inoltre la mia casa vescovile è aperta a tutti. Chiunque può venire a parlare, le porte sono aperte. E i fedeli lo sanno”.Conclude mons. Visuvasam Selvaraj: “C’è armonia nella comunità. Posso dire, con gioia e gratitudine, che siamo una comunità felice, una comunità che vive la fede e testimonia l’amore di Dio. Come dice il Vangelo: ‘Vi riconosceranno da come vi amerete’. Dunque l’amore fraterno è una forma di evangelizzazione ed è un tratto missionario”. Nei primi del ‘900 le Andamane e Nicobare erano territorio britannico, usato anche come luogo di detenzione. Iniziarono allora le prime visite dei Gesuiti da Calcutta e di missionari provenienti dalla zona della Birmania. Dopo l’indipendenza dell’India , missionari cattolici da Ranchi iniziarono a viaggiare nelle Andamane. Nel 1965 la missione nell’arcipelago venne affidata alla Società dei Missionari di San Francesco Saverio i cosiddetti “Padri del Pilar”, con sede a Goa. La diocesi di Port Blair è stata eretta nel 1985. A livello amministrativo l’arcipelago è un territorio dell’Unione Indiana, divisione amministrativa dipendente dal governo federale.

Processo per la strage di Piazza Della Loggia, nota di Palazzo Chigi

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29 Settembre 2023

La decisione della Cassazione di ammettere la costituzione di parte civile del Governo nel processo per la strage di Piazza della Loggia conferma la correttezza dell’azione di Palazzo Chigi. Ci si augura che tale decisione chiuda le pretestuose polemiche a suo tempo sollevate da alcuni esponenti delle opposizioni.

AFRICA/SUD SUDAN – “Lo sconfinamento di truppe ugandesi nel territorio nazionale va risolto per via diplomatica”

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Juba – La disputa di confine tra Uganda e Sud Sudan va risolta con il negoziato attraverso canali diplomatici. Lo ha affermato il portavoce dell’esercito sud sudanese, Generale Magg. Gen. Lul Ruai Koang, secondo il quale è bene che la questione sia gestita dal Comitato congiunto per le frontiere istituito dai due Paesi.L’intervento del portavoce militare avviene dopo che domenica 24 settembre le autorità della contea di Kajo-Keji, nell’estremo sud dello Stato dell’Equatoria Centrale, avevano denunciato lo sconfinamento di truppe dell’esercito ugandese in territorio sud sudanese, dove si sarebbero attestate stabilendo un campo militare.Il confine tra Kajo-Keji e Moyo è sempre stato particolarmente “poroso”, venendo attraversato in un senso o nell’altro durante le guerre civili sudanesi precedenti l’Accordo di pace globale . Tuttavia, in seguito al CPA e all’indipendenza del Sud Sudan, la mancanza di definizione del confine ha creato tensioni e scontri, in particolare per il controllo dell’area fertile intorno a Sunyu.Si sono così accentuate le tensioni tra i Kuku sud sudanesi e la comunità di confine Mà’dí ugandese, sfociate in violenti scontri a Kajo-Keji e Moyo. Nel 2014 si è avuto lo scontro più sanguinoso tra le due comunità. Secondo le autorità locali, almeno 20 persone sono state uccise e 200 capanne sono state date alle fiammeNegli ultimi tempi lungo il confine sud-sudanese-ugandese si è registrato un aumento dei conflitti tra le comunità in entrambi i Paesi. Secondo quanto riportato dai media, simili conflitti frontalieri continuano a ripetersi lungo il punto di confine tra la contea di Magwi e il distretto di Lamwo . Nel dicembre 2015, il Sud Sudan e l’Uganda hanno firmato un memorandum d’intesa per allentare la tensione confinaria e consentire la demarcazione della frontiera contesa lunga circa 470 chilometri. Tuttavia, da allora sono stati fatti pochi progressi.Un segnale distensivo è stato offerto dall’ambasciatore ugandese a Juba che ha presentato un piano del suo governo in nove punti per aiutare il Sud Sudan a risanare la sua economia in difficoltà.Al centro del piano c’è il rafforzamento dell’educazione e dei servizi sanitari e la creazione delle condizioni per attirare investimenti stranieri nel Paese, per diversificare l’economia nazionale dipendente al 98% da un’unica fonte di reddito: le esportazioni di petrolio. In questi giorni il Presidente sud sudanese Salva Kiir si trova a Mosca dove ha incontrato il suo omologo russo, Vladimir Putin. Al centro di colloqui la guerra civile in Sudan e l’espansione delle relazioni bilaterali tra i due Paese nei settori dell’economia, dello sviluppo, del commercio, dell’energia e dell’istruzione.

AMERICA/MESSICO – I vescovi di Tierra Caliente e Chiapas: violenza e insicurezza stanno distruggendo il popolo messicano

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Morelia – “Quello di Michoacán è uno Stato violento con una storia di violenza sempre più in aumento con scontri tra bande criminali alcune delle quali sembrano anche essere implicate con le autorità”. E’ quanto ha dichiarato all’Agenzia Fides l’Arcivescovo di Morelia, Carlos Garfias Merlos, sul contesto di insicurezza e terrore che imperversano negli ultimi anni nello Stato di Michoacán. “La situazione è particolarmente grave soprattutto nelle zone identificate come Tierra Caliente, qui dalla parte di Huetamo, Messico centrale, in località specifiche come Aguililla, Comán, Tepalcatepec, Zamora, Morelia”, ha spiegato il presule.Tra le iniziative dell’arcidiocesi di Morelia, il vescovo Garfias si è detto particolarmente coinvolto nell’assistenza delle vittime, relazioni con la società civile e le autorità ad ogni livello, formazione ed educazione alla pace. Solo pochi mesi fa, in merito all’assassinio di un sacerdote di Morelia, l’arcivescovo, che da anni è Responsabile del Piano nazionale per la costruzione della pace, aveva lanciato un ennesimo appello al dialogo e alla pace di fronte all’attuale situazione di violenza non solo nell’arcidiocesi, ma anche in altre località del Michoacán e in tutto il Paese. “I valori umani, l’amore, la fiducia, il rispetto e la solidarietà sono andati perduti; Dio è stato espulso dagli spazi pubblici, portando a un’umanità disintegrata, priva di fondamenti antropologici e con una forte tendenza predatoria” si era così espresso il presule.“Come vescovi ci siamo mobilitati con diversi strumenti per promuovere la pace, e questo è stato l’obiettivo fin dall’inizio”, ha evidenziato Garfias Merlos che in veste di rappresentante della Chiesa cattolica nel Michoacán, fa parte anche del Consiglio del Michoacán per la ricerca della pace e della riconciliazione, che vede impegnati insieme autorità religiose, uomini d’affari, accademici, organizzazioni civili.“Portiamo avanti modelli educativi nelle scuole, nelle famiglie, nei quartieri e nel lavoro, per generare una cultura del dialogo, della riconciliazione, della mediazione nella risoluzione dei conflitti e per la costruzione della pace”, ha affermato l’Arcivescovo di Morelia. “Le persone stesse sono strumenti per creare condizioni di pace nei rapporti con gli altri. Se riusciamo ad avere pace noi stessi, allora possiamo formulare un atteggiamento di pace con l’altro e aiutarlo ad essere anche lui strumento di pace”, ha concluso.Alla denuncia di Garfias Merlos fa eco anche quella del vescovo di San Cristóbal de las Casas, diocesi del Chiapas, Rodrigo Aguilar Martínez, sullo stato di assedio, e i blocchi imposti dai narcos: “il sud del Messico è sconvolto dalla violenza” – ha dichiarato – e ha esortato ad intervenire prontamente “per frenare le situazioni di violenza e insicurezza che stanno distruggendo la vita del popolo messicano” che sta alimentando carenza di cibo, mancanza di farmaci e cure mediche.

Palazzo Chigi aderisce al World Heart Day 2023

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28 Settembre 2023

La Presidenza del Consiglio dei Ministri aderisce alla celebrazione della Giornata Mondiale del Cuore, World Heart Day 2023, del 29 settembre 2023.

La facciata principale di Palazzo Chigi in Piazza Colonna, pertanto, sarà illuminata con il colore rosso, dalle ore 20:00 di domani 29 settembre alle ore 6:00 del 30 settembre.

Presentato a Palazzo Chigi il primo Patto che coinvolge tutto il Sistema Italia

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28 Settembre 2023

Il Sistema Italia a tutela del potere d’acquisto dei cittadini. Sono 32 le associazioni della filiera che hanno aderito al Trimestre Anti-Inflazione, promosso dal Mimit, che viene oggi presentato a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e dal Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, alla presenza dei rappresentanti delle organizzazioni aderenti.

[La Cerimonia di Firma e gli interventi]

ASIA/MYANMAR – Escalation del conflitto, con grave sofferenza della popolazione civile

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Mandalay – La giunta militare del Myanmar sta lanciando sempre più attacchi aerei contro i civili; il numero dei raidi di aerei ed elicotteri è raddoppiato durante il secondo anno dopo il colpo di stato del febbraio 2021: lo afferma un rapporto pubblicato dall’Ufficio dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani. Il testo, diffuso nei giorni scorsi nel corso dell’Assemblea Generale dell’Onu, lancia un nuovo allarme per la vita della popolazione civile nella nazione. Secondo il rapporto, gli attacchi aerei sono stati ripetutamente combinati con “misure che negano sistematicamente la possibilità ai feriti di accedere alle cure mediche”. Tra febbraio 2021 e luglio 2023, afferma il documento, l’esercito birmano ha lanciato 988 attacchi aerei a livello nazionale; erano 301 quelli sferrati tra febbraio 2021 e marzo 2022, il resto nell’ultimo anno. Almeno 281 persone, tutti civili, sono state uccise negli attacchi aerei che, si afferma, stanno “instillando il terrore nella popolazione civile”. In numerose regioni della nazione la popolazione “teme di poter essere bombardata nelle loro case, nelle scuole, negli ospedali, negli edifici religiosi e durante le riunioni pubbliche”, si afferma. L’attacco aereo che ha registrato il più alto numero di vittime è avvenuto l’11 aprile 2023 quando la giunta ha colpito un raduno pubblico nel villaggio di Kanbalu, nella regione di Sagaing, uccidendo 150 persone. Nel testo si descrivono, inoltre, le uccisioni commesse dai militari birmani durante le operazioni di terra, gli attacchi incendiari e altri atti definiti “crimini di guerra”. L’Alto Commissariato Onu chiede di porre fine urgentemente a ogni violenza e il libero accesso umanitario a ogni parte del Myanmar, invitando tutte le parti a rispettare il diritto internazionale e i diritti umani, in particolare le norme relative alla protezione dei civili durante i conflitti armati.Come riferisce l’organizzazione no-profit di ricerca birmana “Nyan Lynn Thit Analytica” quasi il 90% degli attacchi aerei si sono verificati nella regione di Sagaing e negli stati di Karen, Kayah, Kachin, Chin e Shan. Una delle regioni martoriate è, dunque, la regione di Sagaing, nel Nordovest del Myanmar. La regione confina a nord con l’India e con lo stato birmano di Chin, mentre ad Est confina lo stato di Kachin, lo stato Shan e a sud con la regione di Mandalay. Si tratta della seconda regione più estesa del Myanmar ed è composta da 8 distretti. Il gruppo etnico principale è quello dei bamar e poi vi sono altri piccole comunità di minoranza come gli Shan e i Naga . Per placare la ribellione, in un’area che non è abitata da minoranze etniche ma che è divenuta l’epicentro, anche simbolico, della ribellione della popolazione civile bamar – l’etnia principale nella nazione, la stessa dei generali e dei soldati dell’esercito birmano – nel febbraio scorso il regime ha imposto la legge marziale in 14 comuni di Sagaing. In base alla legge marziale, a Sagaing 253 persone sono state arrestate e perseguite dai tribunali militari negli ultimi sette mesi. Di costoro, dieci sono stati condannati a morte, oltre 100 sono stati condannati all’ergastolo e otto sono stati condannati a lunghe pene detentive, tutti sulla base della legge antiterrorismo. Tra costoro vi sono i genitori di un giovane combattente della resistenza, accusati di aver omesso di denunciare che loro figlio si era unito alle “Forze di difesa popolare”, mentre altri hanno ricevuto condanne per presunte donazioni a gruppi della resistenza. Altri civili arrestati sono insegnanti o utenti dei social media che cercano di persuadere i dipendenti pubblici e i soldati birmani a unirsi al movimento di disobbedienza civile o alle Forze di Difesa popolare.Il territorio della regione di Sagaing è perlopiù all’interno della diocesi di Mandalay. Fonti di Fides confermano che la situazione è molto grave , mentre l’esercito compie continui rastrellamenti dei villaggi, radendoli al suolo. E’ ben organizzata nella regione la resistenza dei giovani combattenti, tutti di etnia bamar. Questo è il motivo per cui la giunta sta cercando di reprimere in primis a Sagaing ogni forma di ribellione. Inoltre quel territorio è ricco di risorse e costituisce un passaggio necessario per giungere allo stato Chin, dove combattono i guerriglieri di quella etnia. “I militari sono spesso sotto l’effetto di droghe e compiono atti crudeli”, riferisce una fonte locale di Fides che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza. Nelle comunità cattoliche si vive la medesima precarietà della popolazione. Le chiese non vengono risparmiate dalla violenza, come è accaduto per la Chiesa cattolica dell’Assunzione nel villaggio di Chan Thar, edificio di 129 anni, data alle fiamme nel gennaio scorso. Sacerdoti e parroci, finche riescono, vivono nelle parrocchie, a volte fuggono con la popolazione civile, costretta a rifugiarsi nei boschi per evitare la violenza. La presenza di sfollati è comune a molte altre diocesi. Il numero di sfollati interni in Myanmar è cresciuto di 680.000 unità nel primo semestre del 2023, secondo quanto riportato dal gruppo di ricerca indipendente “Institute for Strategy and Policy – Myanmar” , think-tank non governativo, con sede in Thailandia. Il numero totale di persone sradicate dalle proprie case e dai propri villaggi – da quando i militari hanno deposto il governo democraticamente eletto con un colpo di stato del febbraio 2021 – ha superato quota 2,6 milioni di persone, nota l’ISP.

OCEANIA/PAPUA NUOVA GUINEA – Nomina del Rettore del Seminario Maggiore del Buon Pastore

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Città del Vaticano – Il Cardinale Luis Antonio G. Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, in data 6 giugno 2023, ha nominato rettore del Seminario Maggiore del Buon Pastore il Rev. do Paul Walua del clero diocesano dell’Arcidiocesi di Mount Hagen. Il nuovo rettore è nato il 26 dicembre del 1972 ed ha compiuto gli studi secondari presso la Fatima High School . Dal 1995 al 1996 ha continuato i suoi studi alla St. Fidelis Minor Seminary e li ha poi proseguiti al Good Shepherd Seminary . Dal 2000 al 2001 ha compiuto l’Anno Spirituale/Pastorale e dopo ha continuato gli studi presso l’Istituto di Teologia Cattolica a Bomana, dove ha ottenuto il Baccalaureato . Nel 2005 ha svolto il ministero diaconale nell’Arcidiocesi di Mount Hagen ed il 19 aprile 2006 è stato ordinato sacerdote per la stessa circoscrizione ecclesiastica.Da presbitero ha svolto il ministero pastorale come Cappellano della Prigione di Baisu ; dopo è stato nominato Parroco della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Warup . Dal 2013 al 2014 ha studiato Master of Arts in Theology all’Università Notre Dame a Sidney in Autralia. Al suo ritorno nel Paese è stato inviato alla Parrocchia di Sant’Anzelmo di Banz in qualità di parroco . Contemporaneamente insegnava come Professore visitante al Good Shepherd Seminary. E’ stato vicerettore del medesimo dal 2021al 2022. Dal 2023 continua a prestare i suoi servizi al Seminario.

AFRICA/CAMERUN – Ferito un sacerdote e alcuni insegnanti dai separatisti anglofoni

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Yaoundé – Ferito un sacerdote della Società Missionaria di San Giuseppe di Mill Hill nel corso di un assalto alla Parrocchia St. Martin of Tour’s di Kembong , della diocesi di Mamfe, nel Camerun sudoccidentale.Secondo quanto reso noto dai Mill Hill Missionary, “il 26 settembre, verso le 11 del mattino, sei uomini armati in moto sono entrati nel nostro complesso parrocchiale di Kembong”.“La loro prima domanda è stata: dove sono gli insegnanti? Quindi quando gli insegnanti si sono mostrati hanno chiesto a tutti di sedersi. P.. Elvis Mbangsi era nella casa parrocchiale. Giunto sul posto gli è stato ordinato di sedersi. Ma prima ancora che il padre potesse farlo, gli hanno sparato a una gamba. I ribelli hanno poi sparato alle gambe anche agli insegnanti”.Alcune persone sono state colpite più volte come p. Elvis che è stato colpito ad entrambe le gambe e alla mano sinistra.Poiché l’ospedale distrettuale di Kembong è stato distrutto in precedenti attacchi da parte dei separatisti, i feriti hanno ricevuto le prime cure all’ospedale di Manfe, per poi essere trasferiti all’Ospedale Generale di Bamenda per cure più specialistiche. Sono tutti in condizioni stabili e fuori pericolo.Gli aggressori hanno affermato di voler impedire l’esercizio della scuola nella regione. L’attacco è avvenuto meno di 24 ore dopo il rapimento di dieci leader di quartiere da parte di uomini armati che si sono presentati come separatisti. Secondo quanto riferito, queste persone sarebbero stati rapiti per aver sostenuto la ripresa delle lezioni nella regione. Per la loro liberazione i rapitori avrebbero chiesto un riscatto di 50 milioni di franchi CFA .Dal 2016 le due regioni anglofone del Camerun, nel nord-ovest e nel sud-ovest, sono in preda a una guerra di secessione dal resto del Paese, francofono. I gruppi separatisti, definiti “Amba boys”, intendono formare un proprio Stato, l’Ambazonia. Hanno imposto un boicottaggio scolastico per protestare contro il sistema educativo che penalizzerebbe gli anglofoni. Migliaia di scuole sono state chiuse. Molte sono state bruciate mentre gli insegnanti hanno abbandonato in massa le regioni anglofone.A farne le spese è pure la Chiesa che continua ad operare nonostante violenze e minacce, cercando sempre la via del dialogo con tutti, come sottolinea in un’intervista all’Agenzia Fides il Presidente della Conferenza Episcopale del Camerun, Mons. Andrew Nkea Fuanya Arcivescovo di Bamenda . “Nonostante le violenze non ho chiuso nessuna parrocchia né sono scappato” ricorda.